La Tanzania e Zanzibar si unirono nel 1963, dando vita alla Repubblica Unita di Tanzania. Questo ci fa pensare che tutto il paese sia unito anche dal punto di vista linguistico, ed è in parte così: in generale, la prima lingua parlata è lo swahili, lingua ufficiale del paese facente parte della sottofamiglia delle lingue bantu), ma c’è anche una seconda lingua utilizzata, che è l’inglese.
Tuttavia, sebbene la maggior parte della popolazione madrelingua si trovi in Tanzania (con un numero pari a circa 15 milioni), questa lingua è parlata anche in altri paesi, cioè in particolare in Congo, Isole Comore, Uganda, Ruanda, Burundi, Zambia, alcune parti di Yemen e Oman, Madagascar e Kenya (dove essa è non solo considerata lingua ufficiale, ma anche materia obbligatoria nelle scuole a partire dagli anni’80.
La lingua swahili è una lingua bantu, facente parte del ceppo linguistico niger-kordofaniano, parlato, come visto, in moltissime località dell’Africa e non solo. Tuttavia, vi sono alcune caratteristiche che è bene sottolineare e che si riferiscono soprattutto alla concentrazione effettiva di questa lingua tra la popolazione: se è vero che, come detto, essa è parlata in molte località, è anche vero che non in tutti i posti essa viene utilizzata come lingua di uso quotidiano.
Un esempio ci viene dato dal Kenya, dove lo swahili viene utilizzato moltissimo dalle istituzioni e dagli enti locali, nelle scuole o nelle attività commerciali, ma non viene utilizzato per parlare correntemente tra le persone nelle proprie case. E questo succede anche in altri luoghi, in cui hanno maggior affermazione specialmente i dialetti ad essa legati.
La caratteristica principale di questa lingua è che essa si presenta come una lingua molto flessibile, ragion per cui è stato possibile, nel tempo, per la popolazione, “fletterla” e manipolarla a seconda delle esigenze e necessità dei vari rapporti storici e sociali, ma anche culturali, dei vari popoli che la parlano o che l’hanno parlata: ed è stata proprio questa varietà che ha dato vita ai vari dialetti di cui parleremo a breve.
La lingua una storia molto antica: il nome “swahili” deriva dall’aggettivo arabo sawahili, che significa “costiero” e che fa riferimento nello specifico alle persone provenienti dalla costa orientale africana. Dalla sua radice derivano diversi costrutti, ragion per cui “mswahili” è la gente che parla questa lingua, mentre “uswahili” è la cultura legata ad essa.
Le prime notizie dell’utilizzo di questa lingua si hanno a partire dalle prime comunicazioni sulle rotte commerciali che univano l’Africa all’Asia, nel I secolo a.C. in cui la sua funzione fu molto rilevante per via della sua natura multiculturale: infatti, furono numerosi, specialmente in quel periodo, i primi prestiti linguistici presi da altre lingue, con una caratteristica di flessibilità che non fu perduta nemmeno nel periodo colonialista, quando essa continuò a mutare e a contaminarsi con altri idiomi.
In linguistica, lo swahili viene classificato all’interno del bantu ed appartiene al sottogruppo conosciuto come sabaki, legato alle lingue miji kenda come pokomo e ngazija e alle lingue delle Comore.
Come abbiamo avuto modo di anticipare, i suoi rapporti con le altre lingue sono molto aperti, ed è infatti vero che essa ha risentito nel tempo di molte influenze, mutazioni e prestiti: se è vero che in alcuni casi una stessa frase possa essere detta in diversi modi le lingue non bantu tendono ad essere più eleganti e quelle bantu tendenzialmente più volgari.
Come anticipato, la sua distribuzione geografica è veramente molto ampia, e sebbene si dica che essa sia ufficialmente la lingua della Tanzania e di Zanzibar, non è solo in queste zone che essa viene utilizzata. Infatti, essa è sostanzialmente la lingua madre del popolo swahili (laddove per popolo swahili non si intende solo la popolazione che vive in Tanzania o Zanzibar, ma anche altre isole come Pemba, Mafia, Lamu, il Madagascar ed altre zone dell’Oceano Indiano) ma viene parlata anche in Kenya, Uganda, Ruanda, Congo, ed in generale buona parte dell’Africa subsahariana.
Come lingua ufficiale, essa è parlata in Tanzania, Uganda, Ruanda e Kenya, ed è, insieme ad alte cinque lingue, la più utilizzata nei rapporti lavorativi dell’Unione Africana.
Per quanto riguarda il vocabolario, esso è veramente molto ricco dal momento che lo swahili è, come detto, una lingua piena di parole di derivazione straniera e, in quanto lingua flessibile e aperta, essa presenta molti termini mutuati da altre lingue. Per esempio, vi sono molte influenze della lingua araba, di quella persiana, di quella inglese, di quella portoghese e perfino di quella tedesca (ma questo non deve stupire, dal momento che vi fu una forte colonizzazione della Tanzania da parte della Germania). Alcune di queste parole sono, ad esempio, “meza” che in portoghese significa tavolo; “kompyuta” che ci ricorda l’inglese “computer”; “shule” che ci ricorda il tedesco per “scuola”.
Di particolare rilevanza è l’uso della lingua swahili per indicare le ventiquattro ore del giorno e della notte: infatti, il sistema di numerazione swahili conta le ore a partire dall’alba e dal tramonto, mentre il numero zero non viene utilizzato.
Abbiamo anticipato che lo swahili è di uso corrente soprattutto tra le istituzioni, le attività commerciali e gli enti locali, come lingua di informazione o di comunicazione tra le amministrazioni, i mass media o le scuole, ma è soprattutto il suo dialetto che conosce una maggior diffusione. Anzi, forse si dovrebbe dire i suoi dialetti dal momento che ve ne sono di diversi tipi a seconda in cui essi si sono formati ed hanno preso piede tra la popolazione.
Infatti, il dialetto principale (o quello considerato tale in quanto standard e più diffuso) è solo il dialetto di Zanzibar, ma in generale la lingua parlata presenta molte forme diverse e differenze importanti tra le varie zone in cui essa viene utilizzata come principale forma di comunicazione domestica. Vi sono ben sette dialetti e tre sottodialetti. In particolare, vi è il dialetto kiUnguja, su cui si basa lo swahili standard, che si parla nello specifico a Zanzibar ed in altre parti della Tanzania; il dialetto kiMvita (che si parla in kenya e a Mombasa); e il dialetto kiAmu (molto parlato sulla costa orientale dell’Africa).